Cooperazione, appropriazione e vaccini preparati con l’aiuto di ricerche sulle cellule fetali

Stephan Kampowski

“La questione in gioco nella controversia sulla valutazione etica del vaccino sembra essere questa: È mai moralmente lecito utilizzare i risultati convenienti delle azioni cattive altrui e, se sì, a quali condizioni?”

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Introduzione

La questione se sia moralmente lecito

  1. produrre linee cellulari da cellule embrionali e fetali,
  2. utilizzare queste linee cellulari per la ricerca o la produzione di vaccini, e
  3. essere vaccinati con un vaccino di tale origine

ha ricevuto nuova urgenza per l’attuale crisi sanitaria mondiale, causata dal SARS-CoV-2. Prima di questa emergenza, la questione è stata affrontata da tre interventi del magistero ecclesiale: una nota del 2005 della Pontificia Accademia per la Vita (PAV 2005)[1], l’Istruzione Dignitas personae della Congregazione per la Dottrina della Fede, pubblicata nel 2009 (CDF 2009)[2], e un’altra nota della Pontificia Accademia per la Vita nel 2017 (PAV 2017)[3]. Nel dicembre 2020 la Congregazione per la Dottrina della Fede si è pronunciata con un’altra comunicazione in materia, con specifica applicazione alla questione della preparazione e dell’uso dei vaccini contro il coronavirus SARS-CoV-2 (CDF 2020)[4].

Fin dall’inizio va chiarito il fatto che la ricerca e la produzione di vaccini che fanno uso di linee cellulari umane non richiede l’utilizzo continuato di embrioni o feti umani sempre nuovi. Una volta che queste linee cellulari sono state prodotte dalla manipolazione delle cellule originali, esse godono di una quasi-immortalità e possono essere moltiplicate quasi all’infinito. Nella preparazione dei vaccini anti-COVID-19, due linee cellulari sono state di particolare rilevanza: la HEK-293 e la PER.C6. Nella preparazione della maggior parte dei vaccini disponibili, queste linee cellulari sono state utilizzate come una sorta di fabbrica in miniatura per produrre elevate quantità di adenovirus che vengono utilizzati come vettori per introdurre alcuni geni del coronavirus SARS-CoV-2 nel vaccino, che poi stimolerà la risposta immunitaria nelle persone vaccinate. In alternativa, essi servono a riprodurre la proteina spike del coronavirus SARS-CoV-2, che, una volta iniettata sotto la pelle, causerà la reazione immunitaria desiderata[5].

Nella produzione dei vaccini non si usano le cellule fetali, e neppure la ricerca sui vaccini o la loro preparazione contribuisce a far aumentare la domanda di feti appena abortiti. Il fatto è, tuttavia, che la linea cellulare HEK-293 è derivata dalle cellule renali embrionali umane (da cui la designazione “HEK” – “human embryonic kidney cells”) di un feto femmina abortito intorno al 1972, mentre le linee cellulari stesse sono state generate nel 1973[6]. Le circostanze precise dell’aborto non possono più essere stabilite con certezza. Dato che il feto era sano, è altamente improbabile che l’aborto sia stato spontaneo. La linea PER.C6 è stata ottenuta da un feto di 18 settimane, abortito nel 1985[7].

È il fatto di questi aborti che rende la questione dei vaccini anti-COVID-19 un problema. Tutte le persone di buona volontà concordano sul fatto che non è mai moralmente lecito strumentalizzare gli esseri umani, come accade, ad esempio, nella schiavitù o nel traffico di organi.  Ciò che si perde sempre più oggi, però, è la consapevolezza del fatto che anche gli embrioni e i feti umani sono esseri umani, che devono essere trattati con lo stesso rispetto dovuto agli esseri umani già nati. L’uso di cellule fetali per produrre linee cellulari sembrerebbe, nella maggior parte degli scenari, costituire un uso strumentalizzante di questi feti, soprattutto se sono stati vittime di un aborto indotto. Per le seguenti riflessioni sarà comunque importante tenere presente che

  1. è almeno pensabile che un feto che fornisce le cellule originali sia morto a causa di un aborto spontaneo e che il suo caso possa essere inteso in termini analoghi a quelli di un donatore di organi adulto scomparso per morte naturale.
  2. anche se il feto è morto a causa di un aborto indotto, è almeno pensabile che il ricercatore che ha usato le cellule fetali per produrre una linea cellulare non abbia formalmente cooperato con quell’aborto, beneficiando dell’azione malvagia di qualcun altro senza averlo precedentemente incoraggiato in alcun modo. Helen Watts mostra molto bene che tale scenario in generale è estremamente improbabile[8]. Almeno nel caso dell’HEK-293, tuttavia, questo sembrerebbe essere lo scenario più plausibile, dato che era passato molto tempo tra l’aborto originale nel 1972 e la produzione della linea cellulare nel 1973[9].  Inoltre, Frank Graham, il ricercatore che ha stabilito l’HEK-293, dichiara di non avere alcuna conoscenza di ciò che era precedentemente accaduto al feto[10]. Egli non ha quindi contribuito in alcun modo all’aborto del 1972 del feto femmina di cui ha ottenuto le cellule embrionali renali, che ha poi trasformato nella linea cellulare HEK-293 nel 1973. Si potrebbe perciò concepire il caso di questo feto come analogo a quello di un donatore di organi adulto morto per un crimine violento e che dona un organo a qualcuno che non ha nulla a che fare con la sua morte.

Queste considerazioni inducono ad affermare che la connessione tra la produzione di linee cellulari umane e il ricorso all’aborto indotto è accidentale. Benché in alcuni dei casi, o forse nella maggior parte dei casi o forse anche in tutti i casi effettivi, potrebbe di fatto esserci stata questa connessione, tuttavia questa connessione non è sostanziale, in quanto è almeno pensabile di poter produrre una linea cellulare umana senza una cooperazione formale con l’aborto. La produzione di linee cellulari da cellule derivanti da un feto abortito è un caso in cui si può ottenere il fine (le linee cellulari) senza necessariamente volere i mezzi (l’aborto indotto), fintanto che non si è assistito all’aborto o non lo si è incoraggiato. Uno dei miei argomenti principali in questo articolo è infatti che non ogni volta che beneficiamo dell’azione malvagia di qualcun altro, il nostro trarne beneficio segnala una cooperazione formale con quel male. Ci sono molti casi in cui uno può volere il proprio fine buono senza volere i mezzi cattivi dell’altro, dai cui risultati si trae comunque beneficio per ragioni proporzionate. Ciò non significa che non ci siano difficoltà morali nell’utilizzare i risultati dell’azione cattiva di qualcun altro. Vuol dire soltanto che trarre beneficio dall’azione cattiva di qualcun altro non è necessariamente una cooperazione formale al male.

            Se è moralmente problematico utilizzare un feto derivante da un aborto procurato per la produzione di linee cellulari, perché non risolvere il problema semplicemente creando linee cellulari derivanti da un feto morto per cause naturali o utilizzando altre fonti alternative di linee cellulari del tutto estranee all’aborto, procurato o spontaneo che sia? Naturalmente, questa è esattamente la soluzione per la quale lottare e per la quale fare un appello pubblico. Ci sono però delle difficoltà legate ad essa, che devono essere riconosciute, anche se l’obiettivo non deve essere abbandonato. Sembrerebbe che, soprattutto nel caso dell’HEK-293, la sua creazione originaria sia stata un’impresa ardua[11]; da allora è diventata estremamente comune, al punto di essere diventata lo “standard d’oro” della ricerca, e secondo alcuni, sostituire la linea cellulare significherebbe dover tornare indietro di 30 anni e dover “reinventare la ruota”[12].

            Per il momento, in ogni caso, le uniche linee cellulari disponibili per la ricerca sembrano essere quelle di origine compromessa o almeno dubbia. Sono state stabilite da ricercatori che hanno beneficiato o forse anche direttamente e formalmente collaborato alla soppressione deliberata di un essere umano non ancora nato, dalle cui cellule sono state create queste linee cellulari. Si pone la questione di come trattare queste linee cellulari, ora che sono diventate una “cosa” nel mondo. Gli scienziati possono usarle in buona coscienza nel processo di produzione di vaccini? Può il pubblico, in coscienza, accettare di essere vaccinato? Qual è esattamente la posta in gioco? Darò per scontato che l’aborto procurato è sempre moralmente illecito e non deve mai essere praticato. Ma questa affermazione da sola non risponde ancora alla domanda se, e nel caso, a quali condizioni, si può legittimamente beneficiare dei risultati di tale azione malvagia perpetrata da altri. Sosterrò la tesi che si formula la questione in modo inadeguato se la si pone in termini di cooperazione materiale o formale con il male e che ci si avvicina molto di più alla radice del problema se si applicano le categorie di ciò che i teologi morali alla fine del XXsecolo hanno qualificato “appropriazione del male” [13]. In termini generali, la questione in gioco nella controversia sulla valutazione etica del vaccino sembra essere questa: È mai moralmente lecito utilizzare i risultati convenienti delle azioni cattive altrui e, se sì, a quali condizioni?

Non avvalendosi del quadro concettuale dell’appropriazione, tutti e quattro i documenti ecclesiali sopra citati usano la categoria della cooperazione con il male, che per la prima volta è stata elaborata concettualmente da Sant’Alfonso Liguori nel XVIII secolo[14] ed è quindi più antica della categoria dell’appropriazione, ma è ancora relativamente recente dal punto di vista della storia bimillenaria della Chiesa. Beneficiare non equivale a cooperare. Rispondere a una domanda sul beneficio con categorie concettuali proprie della cooperazione può far apparire incoerente e poco convincente la propria argomentazione, anche se le conclusioni cui si giunge dovessero rivelarsi più solide delle argomentazioni addotte a loro favore. In ogni caso, formulare una domanda in modo sbagliato e utilizzare categorie inadeguate per affrontare un problema è destinato ad avere conseguenze indesiderate.

In ciò che segue, indicherò innanzitutto le difficoltà legate a questi quattro documenti nel loro contenuto (non sono d’accordo tra di loro), e nella loro ricezione (alcuni alti ecclesiastici si sentono in dovere di rifiutare il loro insegnamento e alcuni intellettuali cattolici, pur accettando ciò che i documenti dicono, sembrano fraintenderne i principi argomentativi di base). Sosterrò poi che questi problemi derivano dall’uso di una categoria concettuale (la cooperazione con il male) che è inadeguata ad affrontare una questione che in realtà riguarda il trarre beneficio (“appropriazione”). Applicando la categoria dell’appropriazione, si può arrivare a conclusioni molto simili o eguali a quelle di Dignitas personae, presentando allo stesso tempo un’argomentazione più convincente, più coerente e più chiara.

Il disaccordo tra PAV 2005, CDF 2009, CDF 2020 da un lato e PAV 2017 dall’altro

Se ci si avvicina a PAV 2005, CDF 2009, PAV 2017 e CDF 2020 con la domanda se, in determinate circostanze, si possono vaccinare i propri figli o essere vaccinati con vaccini di origine illecita, tutte e quattro le risposte sono affermative e tutte e quattro inquadrano la loro argomentazione ricorrendo alla categoria della cooperazione. Esistono, tuttavia, divergenze fondamentali sulle motivazioni addotte e sulle condizioni indicate tra PAV 2005, CDF 2009 e CDF 2020 da un lato, e PAV 2017 dall’altro. Ci occuperemo subito di queste differenze. Tuttavia, prima di tutto sarà utile una breve parola sui gradi di autorità propri di questi diversi documenti. La Congregazione per la Dottrina della Fede partecipa al magistero pontificio: sia la Dignitas personae del2009 che la nota del 2020 sui vaccini anti-COVID-19 sono state esaminate dal rispettivo pontefice regnante che ne ha ordinato la pubblicazione. Tra le due, la Dignitas personae è più autorevole, in quanto è un’istruzione e come tale sovrasta una semplice nota. La Pontificia Accademia per la Vita, invece, è un organo consultivo. I suoi pronunciamenti non fanno parte del magistero e il suo compito non è, in senso stretto, quello di insegnare. Tuttavia, il fatto è che il cattolico ordinario di solito non è consapevole di questa differenza, e i media solitamente non fanno discriminazioni: la PAV è presentata come “il Vaticano” né più né meno della CDF. È quindi importante non lasciare da parte i documenti della PAV, ma esaminarli.

Cominciamo con una discussione dei tre documenti che sono in sostanziale concordanza non solo sul quadro argomentativo (cooperazione) e sulla risposta generale (affermativa), ma anche sulle ragioni e sulle condizioni. Dignitas personae parla di un dovere di rifiutare l’uso di materiale biologico di origine illecita, ma afferma anche che questo dovere non è privo di eccezioni: “Ragioni gravi potrebbero essere moralmente proporzionate per giustificare l’utilizzo del suddetto ‘materiale biologico’. Così, per esempio, il pericolo per la salute dei bambini può autorizzare i loro genitori a utilizzare un vaccino nella cui preparazione sono state utilizzate linee cellulari di origine illecita” (n. 35). Oltre alla proporzionata gravità delle ragioni che giustificano tale uso, la Congregazione aggiunge un’altra condizione, che a prima vista può sembrare curiosa, ma che, a ben vedere, si rivelerà fondamentale: per la CDF, mentre si fa uso di tale vaccino, bisogna tenere presente “il dovere da parte di tutti di manifestare il proprio disaccordo al riguardo e di chiedere che i sistemi sanitari mettano a disposizione altri tipi di vaccini” (n. 35).

Qualcuno potrebbe obiettare che è incoerente parlare prima di un dovere e poi elencare le condizioni alle quali si può esserne esonerati, o dire alle persone che possono legittimamente beneficiare dell’uso di un oggetto e poi esortarle pubblicamente ad opporsi al modo in cui questo oggetto è stato prodotto. Ma, a ben guardare, non c’è davvero nulla di incoerente in queste condizioni. Anche se ci sono alcuni doveri che non hanno eccezioni – il dovere di non commettere mai atti che sono intrinsecamente cattivi, come l’uccisione diretta di un innocente o l’adulterio – il concetto di dovere in quanto tale è compatibile con l’idea di eccezioni. La Congregazione non si contraddice quando afferma che esiste un dovere (in linea di principio) di non usare materiale biologico di origine illecita, affermando poi anche che a volte questo dovere può essere lecitamente rovesciato per gravi motivi. Molti, e forse addirittura la maggior parte dei doveri hanno eccezioni per motivi proporzionati. La CDF afferma implicitamente che c’è una differenza tra l’uso di materiale biologico di origine illecita e l’atto illecito alla sua origine: ricevere un vaccino non è la stessa cosa che procurare un aborto. Esistono, infatti, “responsabilità differenziate” (n. 35). Non si deve mai, in nessuna circostanza immaginabile, procurare un aborto, ma si può, a certe condizioni e per gravi motivi, ricevere un vaccino che ha nel suo pedigree un aborto procurato (che è, cioè, di “origine illecita”). Inoltre, l’evidente tensione tra il trarre vantaggio dall’azione immorale di qualcun altro e, allo stesso tempo, dichiarare la propria disapprovazione per tale azione non deve essere necessariamente una contraddizione, soprattutto se si hanno poche opzioni in materia, in modo da trovarsi limitati nella propria libertà.

Nelle sue conclusioni sulla questione in questione, Dignitas personae riafferma essenzialmente quanto detto dal PAV 2005. La nota del 2020 della Congregazione per la Dottrina della Fede si basa, a sua volta, sulla Dignitas personae, inmodo che tutti e tre i documenti concordino sui seguenti punti:

  1. Esiste un problema morale nell’uso di vaccini di origine illecita. Tuttavia, a certe condizioni e per gravi motivi, è moralmente lecito far vaccinare se stessi o le persone affidate alla propria cura, anche se il vaccino ha un’origine eticamente dubbiosa o addirittura riprovevole. Implicitamente si afferma che beneficiare di un atto intrinsecamente malvagio non è la stessa cosa che commettere quell’atto intrinsecamente malvagio. Esplicitamente si afferma che ci sono gradi differenziati di responsabilità morale.
  2. Nel fare questo uso eticamente lecito di tali vaccini, c’è il pericolo di dare l’impressione di approvare l’uso di linee cellulari derivanti da feti abortiti. Questo pericolo deve essere evitato. Bisogna quindi trovare modi appropriati per far conoscere la propria disapprovazione e incoraggiare i responsabili a produrre vaccini eticamente accettabili.
  3. Infine, Mons. Elio Sgreccia, allora Preside della Pontificia Academia per la Vita accompagnava il documento PAV 2005 con una lettera nella quale parlava di “vaccini ‘contaminati’” e la nota CDF 2020 fa riferimento a vaccini che non sono “eticamente ineccepibili”.  Dignitas personae fa spesso riferimento a materiale biologico di “origine illecita”. Anche se un’origine non è una cosa concreta come un vaccino, è comunque una cosa, anche se astratta. Se nel loro uso letterale, termini di disapprovazione morale come “contaminato”, “eccepibile” o “illecito” si riferiscono ad azioni, il loro uso per descrivere le cose è metaforico. Tutti e tre i documenti condividono la convinzione che l’uso metaforico degli aggettivi di disapprovazione morale per descrivere certi tipi di vaccini o la loro origine sia semanticamente intelligibile e moralmente giustificato.

Su tutti e tre i punti, invece, la nota del 2017 della Pontificia Accademia per la Vita si discosta significativamente dall’insegnamento proposto dagli altri tre documenti. Qui la PAV sostiene che “le linee cellulari attualmente utilizzate sono molto distanti dagli aborti originali e non implicano più quel legame di cooperazione morale indispensabile per una valutazione eticamente negativa del loro utilizzo”. Pertanto, in conclusione, “si possano applicare tutte le vaccinazioni clinicamente consigliate con coscienza sicura che il ricorso a tali vaccini non significhi una cooperazione all’aborto volontario”[15]. Non ci sarebbe quindi bisogno di circostanze particolari e di motivi particolarmente gravi per giustificare un’eccezione a un dovere valido in linea di principio. Non si tratta diuna questione che pone difficoltà alla coscienza (in contrapposizione al precedente punto 1).

Inoltre, il dovere che incombe a tutti – presi singolarmente – di esprimere il proprio disaccordo e di incoraggiare modi alternativi di produzione si trasforma in un “impegno comune a far sì che ogni vaccino non abbia alcun riferimento per la sua preparazione ad eventuale materiale di origine abortivo”. Ora un “impegno comune” in realtà facilmente diventa l’impegno di nessuno. Ed è un impegno per il quale i comuni fedeli cattolici possono fare poco – come possogarantire che non ci sia più tale riferimento se non lavoro in laboratorio? Ebbene, potrei far conoscere la mia disapprovazione, nella conversazione, facendo telefonate o scrivendo e-mail. Ma qui non c’è niente di tutto questo. Piuttosto, l’accento è chiaramente posto sulla “responsabilità morale alla vaccinazione per non far correre dei gravi rischi di salute ai bambini e alla popolazione in generale” (nell’insieme, questo si oppone al punto 2).

Infine, per il PAV 2017, non esistono vaccini moralmente contaminati di origine illecita: “Per quanto riguarda la questione di vaccini che nella loro preparazione potrebbero impiegare o avere impiegato cellule provenienti da feti abortiti volontariamente, va specificato che il ‘male’ in senso morale sta nelle azioni, non nelle cose o nella materia in quanto tali” (in contrapposizione al precedente punto 3). In sintesi, l’azione immorale di commettere l’aborto è ormai così lontana nel passato, che il grado di cooperazione non è sufficiente a giustificare una valutazione eticamente negativa. La soluzione al problema è capire che non c’è nessun problema.

L’obiezione che non ci siano vaccini “illeciti” è piuttosto superficiale. Naturalmente è vero che, in senso stretto, ad essere immorali sono gli atti e non le cose. Il linguaggio ordinario, tuttavia, ci permette di parlare di “denaro sporco”, per esempio, e nessuno obietta a questa espressione come se fosse imprecisa o implicasse una nozione magica della realtà dove il male infesta le cose. Tutti noi comprendiamo che il “denaro sporco” si riferisce a fondi che sono derivati da attività moralmente e legalmente illegittime come il traffico di droga, l’estorsione o la prostituzione. Se le regole generalmente accettate per l’uso delle metafore ci permettono di parlare di “denaro sporco” in questi casi, allora dovremmo, secondo le stesse regole, essere autorizzati a parlare di vaccini “contaminati” o “eticamente eccepibili”.

Il punto più importante dell’obiezione dal PAV 2017 è il riferimento alla distanza temporale dagli aborti originali. Quale legame di cooperazione si stabilisce con quelle azioni immorali del passato se ci si fa vaccinare oggi – o, possiamo aggiungere, se si fa ricerca su quelle linee cellulari stabilite 40 anni fa? La risposta più plausibile è proprio quella data dal documento: è una cooperazione non sufficiente a giustificare una valutazione eticamente negativa – o, per essere più precisi: nessuna. Questo vale senza dubbio se si parla di cooperazione materiale, come fanno PAV 2005, CDF 2009 e CDF 2020. Nel contesto del quadro argomentativo della cooperazione con il male, la posizione assunta da PAV 2017 sembra essere più coerente di quella degli altri tre documenti. Se si trattasse di cooperazione, le ragioni e le conclusioni proposte da PAV 2017 sarebbero incontrovertibili, a meno che non si voglia trasformare la questione in una domanda di cooperazione formale, che è sempre illecita e che richiederebbe a tutte le persone di coscienza retta di rifiutare la vaccinazione (e, a maggior ragione, di non condurre mai ricerche con tali linee cellulari). Tuttavia, come cerchiamo di dimostrare, questo quadro concettuale è inadeguato per rispondere alla domanda. Nel momento in cui si applicano le categorie di appropriazione del male, le conclusioni proposte dagli altri tre documenti ecclesiali appariranno molto più convincenti di quelle presentate da PAV 2017.

Le difficoltà nell’accoglienza dell’insegnamento

L’insegnamento magisteriale incontra delle difficoltà nella sua ricezione: ci sono alcuni alti prelati cattolici che pubblicamente sostengono che è sempre immorale essere vaccinati con vaccini di origine illecita, sostenendo così che l’insegnamento della CDF e della PAV è inaccettabile per i cattolici[16]. D’altro canto ci sono alcuni accademici cattolici che fino al dicembre 2020 avrebbero evitato il pensiero proporzionalista, ma ora, dopo aver letto CDF 2020, cominciano a misurare ciò che è incommensurabile, pesando le vite l’una contro l’altra su una bilancia. In una dubbia applicazione del principio del doppio effetto (principio di cui il documento CDF 2020 tace), essi sostengono che in condizioni di necessità si è moralmente obbligati a scegliere l’azione i cui risultati sono più benefici che dannosi – nel caso in questione, l’azione che salva più vite di quella alternativa: farsi vaccinare salva più vite di quante ne vengono uccise dalla pratica della ricerca fetale che farsi vaccinare potrebbe favorire[17]. Preso alla lettera, tale ragionamento può essere utilizzato per giustificare qualsiasi tipo di azione o pratica, dalla legalizzazione dell’aborto al bombardamento nucleare delle città. Nelle giornate più calme, questa massima probabilmente non rappresenta la mente degli autori, e certamente non rappresenta la posizione della CDF. L’argomento qui è solo questo: mentre nessun testo è immune dall’essere frainteso, a volte porta almeno una parte della responsabilità per la sua interpretazione cattiva. A mio avviso, il più grande malinteso è quello di trattare una questione di appropriazione – di beneficiare dell’azione malvagia di qualcun altro – come se si trattasse di cooperazione conquell’azione.

Cooperazione

In quanto segue sosterrò che è possibile vedere la ragione per le incongruenze tra i quattro documenti ecclesiali e le difficoltà nella loro ricezione nel fatto che usano del quadro concettuale della cooperazione, che non è del tutto appropriato per la questione originaria. Cercherò di mostrare come la maggior parte, se non tutte, le difficoltà finora incontrate possano essere risolte applicando invece la categoria di appropriazione.

            La questione della cooperazione è stata trattata per la prima volta (anche se non elaborata concettualmente) da un documento della Chiesa in una nota di Papa Innocenzo XI in 1679, in cui condanna la proposizione lassista secondo cui

Un servo che piegando la schiena aiuta consapevolmente il suo padrone a salire attraverso una finestra per stuprare una ragazza, e spesso lo serve trasportando la scala, aprendo la porta, o facendo insieme a lui qualcosa di simile, non pecca mortalmente se fa questo per timore di un notevole danno, per esempio per non essere trattato male dal padrone, per non essere guardato con occhio torvo, per non essere cacciato di casa” [18].

Non è lecito che un servo cooperi nell’atto di stupro del suo padrone tenendo in mano o portando una scala o prestando l’uso delle spalle in modo che il padrone possa entrare dalla finestra della fanciulla. Da allora sono stati sviluppati elaborati principi di cooperazione morale, in particolare con l’opera di Sant’Alfonso Liguori, che introduce la distinzione tra cooperazione formale e materiale[19]. Nella cooperazione formale, il collaboratore nell’atto cattivo condivide l’intenzione cattiva dell’agente principale. Tale condivisione è sempre immorale. Quando si tratta di cooperazione materiale, con la quale il cooperatore fornisce alcune condizioni che permettono all’agente principale di compiere la sua azione cattiva, i teologi morali oggi di solito distinguono tra cooperazione immediata, prossima o remota, tra cooperazione necessaria e non necessaria, e tra cooperazione attiva o passiva, come quando qualcuno coopera con il male non opponendogli resistenza. In linea di principio ogni cooperazione con il male dovrebbe essere evitata. Tuttavia, alcuni tipi di cooperazione materiale possono essere moralmente giustificati per ragioni proporzionate, mentre altri sono sempre immorali. Così, la cooperazione materiale immediata e necessaria è sempre immorale, come quando un’infermiera passa il bisturi a un medico che sta praticando un aborto. Lavorare come cuoco in una clinica per aborti, invece, si qualificherebbe come cooperazione materiale remota e potrebbe quindi essere giustificata per ragioni proporzionate, come quando qualcuno non riesce a trovare facilmente un’altra occupazione e ha bisogno del reddito per provvedere alla sua famiglia.

            Tutti e quattro i documenti ecclesiali di cui abbiamo discusso sostengono che ricevere vaccini che nella loro fase di ricerca o di produzione hanno fatto uso di linee cellulari fetali, le quali a loro volta sono state preparate utilizzando cellule appartenenti a feti abortiti, è un atto di cooperazione materiale remota con il male dell’aborto. Il documento della PAV del 2017 considera questa cooperazione materiale abbastanza remota da essere sostanzialmente scomparsa dalla vista, cosicché l’uso di questi vaccini non presenta più alcuna difficoltà per la coscienza e non ha bisogno di essere ulteriormente giustificato. PAV 2017 sottolinea correttamente il fatto che la ricerca o la produzione di tali vaccini non necessita il continuato impiego di sempre nuovi feti. La posta in gioco è l’utilizzo di linee cellulari fetali, che una volta prodotte, possono essere riprodotte e mantenute per decenni. Come spiegato all’inizio, essenzialmente tutte le linee cellulari fetali attualmente utilizzate nella ricerca o nella produzione di vaccini derivano da un numero limitato di casi di aborto non spontaneo, concretamente identificabili e eseguiti negli anni Settanta e Ottanta. Invece PAV 2005, CDF 2009 e CDF 2020, che si basano sulle stesse premesse scientifiche, giungono comunque alla conclusione che un problema morale di fatto esiste. La soluzione è cercare prima di tutto delle alternative all’uso di tali vaccini. Poi, se le alternative non esistono e vi è una grave necessità, si possono legittimamente usare questi vaccini, anche se si dovrebbe far conoscere la propria opposizione all’aborto e sollecitare l’elaborazione di vaccini alternativi.

            Esiste però una grave difficoltà concettuale. In termini semplici: non è evidente come il fatto che qualcuno oggi si faccia vaccinare con un vaccino di origine illecita aiuti o fornisca le condizioni materiali per gli aborti effettuati negli anni Settanta e Ottanta, o, per dirla più in generale, come ci possa essere una cooperazione materiale con atti cattivi compiuti in passato. Per poter stuprare la fanciulla, il padrone ha bisogno della scala portata e tenuta dal suo servo. Il servo potrebbe non condividere le intenzioni del suo padrone, ma gli fornisce comunque le condizioni necessarie per portarle a compimento. Per eseguire un aborto, un medico abortista ha bisogno del bisturi fornito dall’infermiera e, in modo molto più remoto, ha bisogno anche del cibo, fornito dal cuoco. Il medico abortista che nel 1972 ha provocato l’aborto del feto le cui cellule renali sono state poi utilizzate per produrre la linea cellulare HEK-293, non ha bisogno del mio farmi vaccinare oggi. Il fatto che io mi faccia vaccinare non fornisce alcuna condizione materiale per la sua azione, la quale con ciò non diventa né più facile né più difficile. Il passato non può essere cambiato. Nessuno oggi può contribuire all’esecuzione dell’azione passata di qualcun altro più di quanto possa impedirlo. Si può naturalmente obiettare e dire che si collabora incoraggiando una pratica malvagia presente o futura o dando l’impressione di approvarla. Ma questi sono proprio i problemi che si presentano quando si trae beneficio dall’azione cattiva di qualcun altro. Se si parla di cooperazione materiale in senso stretto, cioè di prestare assistenza all’azione cattiva di qualcun altro, e se si guarda al rapporto tra gli aborti originali avvenuti circa 40 anni fa e le persone che si vaccinano oggi, allora è chiaro che non è rilevabile alcuna cooperazione materiale. Se questa fosse la domanda, allora l’argomentazione di PAV 2017 sarebbe del tutto coerente.

            C’è naturalmente un modo in cui si può cooperare anche con il male del passato, ed è la cooperazione formale. Poiché il passato non può essere cambiato, oggi è metafisicamente impossibile per chiunque dare assistenza materiale ai crimini nazisti degli anni Trenta e Quaranta. La cooperazione formale, invece, rimane una possibilità metafisica, anche se riguarda azioni passate: consiste nell’approvarle. L’assistenza che si presta fornendo delle condizioni materiali abilitanti si attenua nel tempo tanto più che l’atto cattivo si allontana dall’atto di assistenza, e il rapporto tra i due atti va in una sola direzione temporale: dal presente al futuro. Le intenzioni, invece, sembrano essere indifferenti allo scorrere del tempo e alla direzione del suo flusso. Quando si approva un crimine passato, al punto di affermare che lo si sarebbe commesso in prima persona se ne avesse avuta la possibilità, allora uno si è appropriato di questo crimine, anche se è passato: lo ha fatto proprio intenzionalmente. La distanza temporale e spaziale è qui essenzialmente insignificante. Si può approvare un’atrocità morale commessa dagli antichi romani non meno di un crimine commesso da agenti contemporanei. Qualcuno può condonare un’atrocità presente non meno di un’atrocità prevista per il futuro. Se vogliamo usare le categorie della cooperazione con il male per rispondere alla domanda se sia mai moralmente lecito essere vaccinati con un vaccino di origine illecita, allora la visione più plausibile sarebbe quella di inquadrare la questione in termini di cooperazione formale. Ma è sempre peccaminoso cooperare formalmente con il male. Di qui il risoluto “no” dato recentemente alla questione da alcuni alti prelati della Chiesa.

In breve, il “sì” piuttosto incondizionato di PAV 2017 alla domanda se sia moralmente lecito farsi vaccinare con vaccini di origine illecita si basa su una comprensione della questione in termini di cooperazione materiale. L’Accademia ritiene che, a tutti gli effetti, non vi sia alcuna cooperazione materiale, per cui è moralmente lecito, anzi, obbligatorio, farsi vaccinare. Il “no” risoluto del cardinale Janis Pujats e dei suoi colleghi alla stessa questione si basa anche esso sulla comprensione della questione in termini di cooperazione, anche se questa volta, in ultima analisi, in termini di cooperazione formale, il che è più plausibile una volta che si decida di inquadrare la domanda in termini di cooperazione. Lo sfumato “sì, ma” dato da PAV 2005, CDF 2009 e CDF 2020 mi sembra la risposta migliore, ma è veramente coerente solo se la questione è formulata in termini di appropriazione del male e non in termini di cooperazione con il male, poiché per ragioni metafisiche non si può dire che la cooperazione sia materiale e per ragioni morali non si vuole dire che la cooperazione sia formale.

Appropriazione

Quali sono i modi in cui si traggono benefici dall’atto cattivo di qualcun altro e come mai ciò potrebbe costituire un problema morale? Si trae beneficio per i propri fini. Con i suoi risultati, l’atto cattivo di qualcun altro aiuta a perseguire i propri interessi e a realizzare le proprie intenzioni. È l’agente “cattivo” ad essere qui il collaboratore; quello che ne trae vantaggio invece è l’agente principale, e la questione non è se l’agente che coopera agisce in modo moralmente lecito – questa domanda è già risolta: agisce in modo moralmente illecito. La domanda piuttosto è se l’agente principale è moralmente giustificato ad avvalersi dei risultati di tale atto cattivo. La questione dell’appropriazione del male, di beneficiare del male altrui, è quindi lo specchio esatto della questione della cooperazione con il male, come M. Cathleen Kaveny l’ha felicemente formulato nel suo saggio pionieristico, che è ormai diventato il punto di riferimento sull’argomento[20].

Sembrerebbero esserci quattro modi distinti in cui si può beneficiare dei risultati dell’atto cattivo di qualcun altro, a seconda di come le proprie intenzioni nell’agire sono collegate alle intenzioni dell’agente ausiliario malefico[21].

1. Con la propria azione si persegue un obiettivo che è conforme alle intenzioni di colui che ha commesso l’atto malvagio di cui ora si beneficia. Il risultato utile dell’atto cattivo dell’altro non può essere raggiunto con mezzi diversi dall’atto cattivo. Perciò, utilizzando questo risultato per i propri fini (buoni), si vuole anche il mezzo (cattivo) con cui il risultato è stato prodotto. Qui l’appropriazione implica necessariamente la condivisione dell’intenzione cattiva dell’altro; e qui l’appropriazione equivale a una cooperazione formale al male. Esempio: Supponiamo che un agente ausiliario malefico produca un film con scene di omicidio in cui non sono solo i personaggi ad essere uccisi, ma letteralmente gli attori. Supponiamo inoltre che l’obiettivo dell’agente principale nella visione di questo film non sia quello di condurre un’indagine su un omicidio, ma di provare un brivido, che è esattamente ciò che il produttore intendeva. In questo caso, l’agente primario sembrerebbe cooperare formalmente con l’omicidio. È analiticamente vero che non c’è altro modo di produrre un film del genere. Il risultato di cui ci si avvale è definito dall’atto cattivo con cui è stato prodotto. Usare tale film per i fini per i quali è stato concepito significa anche volere i mezzi con cui è stato prodotto.

2. Con la propria azione si persegue un obiettivo che è almeno in parte conforme alle intenzioni di chi ha commesso l’atto cattivo di cui ora si beneficia. Tuttavia il risultato utile dell’atto malvagio dell’altro può essere raggiunto anche con mezzi diversi dall’atto cattivo. Esempio: Un medico incontra difficoltà durante un’operazione chirurgica. Ha bisogno di liberare un nervo schiacciato nel ginocchio della sua paziente, ma non riesce a trovare il nervo. Prima dell’operazione, la paziente aveva dichiarato di non voler più vivere con il dolore lancinante causato dal nervo e desiderava che le venisse amputata la gamba nel caso non ci fossero altri rimedi per la situazione. Il medico è in possesso di un libro con i disegni anatomici più accurati e dettagliati finora disponibili, le cosiddette illustrazioni di Pernkopf. Trovandosi in sala operatoria, chiama un collega e gli chiede di andare nel suo ufficio, trovare il libro, scattare foto delle relative pagine e inviargliele sullo smartphone. Ricevuti i disegni anatomici, è in grado di localizzare il nervo, liberarlo e salvare la gamba della paziente. La difficoltà morale consiste nel fatto che questi disegni sono stati realizzati in Austria alla fine degli anni Trenta da medici che, per arrivare a questo dettaglio anatomico, hanno utilizzato i corpi di persone ingiustamente uccisi dai nazisti[22]. Mentre nell’uso delle immagini, il nostro medico attuale non aveva alcuna intenzione di uccidere le persone, il suo uso dei disegni era proprio conforme agli scopi previsti dai medici nazisti. In teoria, tuttavia, si possono produrre illustrazioni di questa qualità utilizzando altri mezzi. Pertanto, il suo uso delle immagini per lo stesso scopo previsto dai nazisti non lo impegna a volere gli stessi mezzi applicati dai nazisti per produrre l’immagine. Volere l’uso di queste illustrazioni non equivale a volere l’esecuzione di vittime innocenti. Qui il risultato di cui ci si avvale non è definito dall’atto cattivo con cui è stato prodotto. Non c’è qui alcuna cooperazione formale con il male. Non c’è nemmeno una cooperazione materiale. Eppure, un problema morale sembra persistere.

3. Con la propria azione si persegue un obiettivo che è parallelo alle intenzioni di colui dal cui atto cattivo si trae ora beneficio. Esempio: Un paziente con insufficienza renale riceve un rene da una vittima di omicidio che aveva precedentemente dichiarato la sua volontà di donare un organo in caso di morte. L’omicidio non è stato commissionato dal ricevente e non è stato commesso in vista del traffico di organi.

4. Con la propria azione si persegue un obiettivo che è contrario alle intenzioni di colui dal cui atto cattivo si trae ora vantaggio. Esempio: L’attività professionale di un agente di polizia dipende dall’attività dei criminali. Se non ci fosse nessuno che infrange la legge, non ci sarebbe bisogno dell’azione degli agenti di polizia. Si può dire che in quello che fanno, gli agenti di polizia traggono vantaggio dall’attività dei criminali, nella misura in cui i criminali danno loro qualcosa da fare in primo luogo, impedendo loro di diventare disoccupati.

Nei casi 3 e 4 non sembra porsi alcun problema morale. Il primo caso è chiaramente quello in cui l’appropriazione è una cooperazione formale e quindi moralmente illecita, per non dire atroce. Una vera difficoltà morale viene sollevata dal caso 2. Istintivamente ci sentiamo a disagio al pensiero di trarre beneficio dai disegni nazisti, anche se è per uno scopo buono. Allo stesso tempo, probabilmente non biasimeremmo il medico per quello che ha fatto e potremmo anche raccomandarglielo. Eppure, se noi, come egli stesso, sentiamo un certo disagio, ci si deve chiedere da dove provenga. Che cosa comporta il trarre beneficio dai risultati delle azioni cattive altrui e quindi in qualche modo anche portare a compimento la loro intenzione originaria, anche se non siamo vincolati a volere i loro mezzi cattivi perché il risultato utile potrebbe essere prodotto anche in altri modi? Sembrerebbe che ci siano almeno le seguenti quattro questioni in gioco:

1. Accettare di beneficiare dei risultati dell’azione cattiva di qualcun altro, anche se è passata, può incoraggiare pratiche cattive presenti o future[23]. Usando i disegni nazisti, il nostro medico non fa nulla per assistere i medici nazisti degli anni ‘30. Ma gli agenti presenti o futuri potrebbero essere incoraggiati a praticare un tipo di ricerca che strumentalizza i soggetti umani, in quanto imparano che ne può venire del bene. Accettare il beneficio può suggerire ad alcuni che c’è una domanda per i risultati di tali azioni cattive e incoraggiarli a fornire l’offerta (anche se, come abbiamo visto, in questo caso l’offerta potrebbe essere prodotta anche con mezzi moralmente leciti).

2. Accettare di beneficiare dei risultati dell’azione cattiva di qualcun altro indebolisce la credibilità della propria obiezione a tale azione. Nonc’è una stretta contraddizione logica tra il trarre beneficio da un’azione e allo stesso tempo opporsi ad essa, ma sarebbero necessarie circostanze particolari per non apparire ipocriteo letteralmente esserlo. La propria testimonianza si indebolisce.

3. Accettando di beneficiare dei risultati dell’azione cattiva altrui si rischia di dare l’apparenza di approvarla. Nonc’è una stretta connessione logica tra il trarre beneficio da un’azione e l’approvazione di quell’azione, ma sarebbero necessarie circostanze particolari per non sembrare di approvarla. C’è il rischio di scandalo.

4. Accettare di beneficiare dei risultati dell’azione cattiva di qualcun altro può oscurare la nostra mente e alimentare la nostra indolenza[24]. Può indebolire il nostro intelletto quando si tratta di capire il male in gioco e può indebolire la nostra volontà quando si tratta di resistervi. C’è il rischio che l’appropriazione del male mini il nostro carattere morale e ci porti ad approvare il male. Benché l’appropriazione del male e la cooperazione formale con il male non siano la stessa cosa, è vero che la prima rischia di portare alla seconda.

Tuttavia, beneficiare del male non è la stessa cosa che commettere il male. Pertanto, nonostante queste potenziali conseguenze indesiderate, l’appropriazione del male, a differenza della commissione del male, non è sempre moralmente sbagliata, ma può essere giustificata in determinate circostanze per ragioni proporzionate. Quali potrebbero essere queste circostanze e ragioni? E come si possono contrastare i quattro pericoli legati all’appropriazione del male appena menzionati? Sembrerebbero esserci tre condizioni che potrebbero giustificare e allo stesso tempo contrastare i rischi morali dell’appropriazione:

1. Dovrebbe esserci una grave necessità e nessuna alternativa praticabile. L’uso dei disegni nazisti da parte del nostro medico non è stato motivato da ragioni banali, come cercare di vincere un concorso di anatomia alla facoltà di medicina. Li ha usati per salvare la gamba del suo paziente. Non c’era alternativa disponibile, almeno non nel luogo e nel momento della sua azione.

2. Si dovrebbe cercare il modo adeguato di esprimere la propria disapprovazione per l’azione cattiva dei cui risultati si beneficia ora. E questa disapprovazione è credibile solo se la prima condizione è soddisfatta, cioè se c’è di fatto una grave necessità e nessuna alternativa.

3. Si dovrebbe cercare il modo di influenzare i responsabili delle decisioni per sviluppare alternative. Qualsiasi utente di cellulare di retta coscienza si sentirà a disagio nel sapere che la batteria del suo dispositivo contiene molto probabilmente il cobalto, un materiale “sporco”, in quanto circa il 60% della produzione globale di tale minerale proviene dalle miniere del Congo che sono note per lo sfruttamento dei bambini[25]. Usare un telefono, o qualsiasi altro oggetto che utilizza batterie agli ioni di litio, significa approvare il lavoro minorile e la schiavitù? No. Oggi è praticamente impossibile rinunciare a tutti gli oggetti che utilizzano batterie agli ioni di litio. E sono ipotizzabili alternative all’uso del cobalto nelle batterie e all’abuso dei bambini nell’estrazione di questo minerale. Nel renderci conto di questi fatti, tuttavia, sembrerebbe anche giusto esprimere la nostra disapprovazione e usare la nostra influenza come consumatori, scrivere una e-mail al servizio clienti e incoraggiare il nostro produttore di smartphone a rinunciare all’uso di materiali “sporchi” come il cobalto, chiarendo che daremo il nostro patrocinio alla prima azienda disposta a fornire un’alternativa etica all’uso di componenti di “origine illecita”.

Usare disegni nazisti in una sala operatoria non è come torturare e uccidere le persone. Usare uno smartphone con una batteria agli ioni di litio contenente tracce di cobalto non è la stessa cosa che sfruttare i bambini. L’appropriarsi del male non è la stessa cosa che fare il male. Eppure, i motivi per cui ci sentiamo comunque a disagio nell’appropriarci del male sono razionalmente convincenti. Sembra che l’appropriazione abbia bisogno di una giustificazione, soprattutto se, appropriandoci del male, portiamo a compimento almeno in parte l’intenzione cattiva dell’agente malefico: i disegni nazisti sono stati preparati per essere usati in sala operatoria; il cobalto viene estratto per essere usato nelle batterie dei cellulari. Beneficiare non implica automaticamente l’approvazione – non implica necessariamente una cooperazione formale, purché il risultato di cui beneficiamo non sia intrinsecamente connesso all’azione malefica da cui è derivato, ma possa essere ottenuto anche in altri modi. Trarre beneficio non significa neanche una cooperazione materiale al male, che sarebbe impossibile nel caso dell’uso delle illustrazioni naziste, e che sarebbe estremamente remota nel caso dell’uso di batterie agli ioni di litio contenenti cobalto. Tuttavia, beneficiare può incoraggiare pratiche malvagie presenti e future, indebolire la nostra testimonianza contro questo male, portare allo scandalo e compromettere il nostro carattere. Per tutte queste ragioni dovremmo rifiutare di appropriarci del male, a meno che non ci siano ragioni gravi e convincenti, esprimendo poi la nostra obiezione al male stesso di cui stiamo beneficiando, e facendo appello alle istanze appropriate perché vengano fornite alternative. Presumibilmente la maggior parte delle persone potrebbe accettare queste condizioni quando si tratta di trarre beneficio dai disegni nazisti o dall’estrazione del cobalto. E queste si rivelano essere proprio le condizioni per l’uso lecito di vaccini derivanti da materiale biologico di origine illecita, come presentate da Dignitas personae e ripreso da CDF 2020. È un “sì ma”. E il “ma” è importante.

Conclusione

Le conclusioni pratiche da trarre da queste considerazioni non sono quindi altro che quelle insegnate da CDF 2009 e riprese da CDF 2020. E, nella misura in cui la Congregazione per la Dottrina della Fede partecipa al magistero pontificio e quindi insegna in modo autorevole, la sua autorità riguarda specificamente e direttamente queste conclusioni e non direttamente il processo argomentativo, che sta alla loro base. La mia proposta è che le conclusioni autorevoli della Congregazione appariranno più plausibili e saranno meno suscettibili di essere fraintese se si arriva ad esse usando la categoria dell’appropriazione del male piuttosto che quella della cooperazione con il male.


[1] https://www.cattolici.ilcattolico.it/catechesi/etica-e-morale/riflessioni-morali-circa-i-vaccini-preparati-a-partire-da-cellule-provenienti-da-feti-umani-abortiti.html  Il documento è curiosamente assente dal sito del Vaticano e della Pontificia Accademia per la Vita.   

[2] https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20081208_dignitas-personae_it.html

[3]http://www.academyforlife.va/content/pav/it/the-academy/activity-academy/note-vaccini.html

[4] https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20201221_nota-vaccini-anticovid_it.html

[5] Per questi dati scientifici, cfr. R. Colombo, “Vaccini anti-Covid19 da aborti? La Chiesa: leciti a certe condizioni”, Avvenire, 26 agosto 2020. https://www.avvenire.it/mondo/pagine/coronavirus-vaccini-da-aborti-cosa-dice-la-chiesa

[6] Per la storia della linea cellulare HEK-293, si veda: A. Wong, “The Ethics of HEK 293”, National Catholic Bioethics Quarterly 6 (2006) 473-496.

[7] Cfr. Colombo, “Vaccini anti-Covid19”.

[8] H. Watts, The Anscombe Bioethics Centre. COVID-19 Briefing Paper, http://www.bioethics.org.uk/images/user/covidbriefing2.pdf

[9] Cfr. Wong, “Ethics of HEK 293”, 474.

[10] P. G. Austriaco Nicanor, “Moral Guidance on Using COVID-19 Vaccines Developed with Human Fetal Cell Lines”, Public Discourse, 26 maggio 2020, https://www.thepublicdiscourse.com/2020/05/63752/. L’articolo di Nicanor è molto utile. Si tratta di uno dei pochi contributi che si avvalgono coerentemente della categoria di appropriazione per discutere il problema in questione.

[11] Cfr. “Live and Let Live: The Remarkable Story of HEK293 Cells”, Human Gene Therapy, aprile 2020, 485-487. http://doi.org/10.1089/hum.2020.29116.oxg.

[12] Cfr. il commento all’Agence France Press di Andrea Gambotto, professore all’Università di Pittsburgh: https://www.france24.com/en/live-news/20201020-how-fetal-cells-from-the-1970s-power-medical-innovation-today

[13] Il lavoro pionieristico su questo tema è stato composto da M. C. Kaveny, “Appropriation of Evil: Cooperation’s Mirror,” Theological Studies 61 (2000) 280-313.

[14] Per una storia del principio, cfr. K. Flannery, Cooperation with Evil: Thomistic Tools of Analysis, Catholic University Press, Washington DC 2019.

[15] http://www.academyforlife.va/content/pav/it/the-academy/activity-academy/note-vaccini.html

[16] Cardinal J. Pujats, T. Peta, J. P. Lenga, J. E. Strickland, A. Schneider,  https://www.vanthuanobservatory.org/ita/covid-vaccines-the-ends-cannot-justify-the-means-bishop-athanasius-schneider/: “Nel caso dei vaccini ottenuti da linee cellulari di feti umani abortiti, vediamo una chiara contraddizione tra la dottrina cattolica di rifiutare categoricamente, e senza ombra di dubbio, l’aborto in tutti i casi come un grave male morale che grida vendetta al cielo (vedi Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2268, n. 2270), e la pratica di considerare i vaccini derivati da linee cellulari fetali abortite moralmente accettabili in casi eccezionali di «urgente bisogno» – per motivi di remota, passiva, cooperazione al male materiale. Sostenere che tali vaccini possono essere moralmente leciti se non ci sono alternative è di per sé contraddittorio e non può essere accettabile per i cattolici”.

[17] Ho osservato una tale interpretazione in diverse occasioni, e l’attribuzione non è qui decisiva. Quello che qui interessa è che anche il documento della CDF del 2020, pur non proponendo certamente tale insegnamento, si presta purtroppo a tale lettura, mancando della precisione, con cui la Congregazione formula abitualmente i suoi testi.

[18] Innocenzo XI, “Sessantacinque proposizioni condannate dei lassisti”, proposizione 51, in H. Denzinger – P. Hünermann, Enchiridion symbolorum definitioneum et declarationum de rebus fidei et morum, 43a edizione bilingue, EDB, Bologna 2020, n. 2151. Per una discussione dettagliata di questa proposizione – nel contesto di un tentativo di trovare una nuova prospettiva sul problema della cooperazione, si veda: A. McLean Cummings, The Servant and the Ladder: Cooperation with Evil in the Twenty-First Century, Gracewing, Herefordshire, UK 2014.

[19] Alfonso de’ Liguori, Theologia moralis, libro 2, n. 63; devo il riferimento a Flannery, Cooperation with Evil, 5.

[20] Cfr. di nuovo: Kaveny, “Appropriation of Evil”.

[21] Cfr. A. R. Pruss, “Cooperating With Past Evil and Use of Cell-Lines Derived From Aborted Fetuses”, The Linacre Quarterly, 71 (2004) 335-350. Le considerazioni e gli esempi dell’autore sono molto acuti e mi sono stati estremamente utili per l’argomento attuale, anche se lui formula la questione in termini di cooperazione e anche se sostiene che ci può essere una cooperazione materiale con il male del passato, un’affermazione che continuo a trovare poco convincente. Devo a lui l’essenza delle seguenti distinzioni, anche se il punto 1 è una mia aggiunta.

[22] Per questo esempio preso dalla vita reale si veda: https://www.statnews.com/2019/05/30/surgical-dilemma-only-nazi-medical-text-could-resolve/

[23] Cfr. R. M. Green, “Benefitting from ‘Evil’: An Incipient Moral Problem in Human Stem Cell Research”, Bioethics 6 (2002) 544-556.

[24] Cfr. di nuovo: Kaveny, “Appropriation of Evil,”, per la quale la questione degli effetti dell’appropriazione sul nostro carattere virtuoso è uno dei maggiori problemi.

[25] Cfr. https://www.bbc.com/news/world-africa-50812616




 

 

 

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Stephan Kampowski

Stephan Kampowski

Stephan Kampowski è professore ordinario di Antropologia Filosofica presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II a Roma. Dal 2012 è anche professore invitato presso la Facoltà di Filosofia della Pontificia Università di San Tommaso (Angelicum), Roma.

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